L’amore ai tempi dell’Android Open Source Project
Oggi voglio continuare il discorso iniziato con l’articolo It’s the end of Android as we know it (AND I FEEL FINE). Questa volta però voglio indagare sul reale tasso di “filosofia e prassi open source” dietro il Sistema Operativo del robottino verde.
Quando nel novembre del 2007 (a proposito… Buon compleanno Android!) venne dato inizio al progetto AOSP (Android Open Source Project), il primo – e a dir poco rivoluzionario – iPhone era appena stato presentato e Google decise di non stare a guardare e intervenire per evitare un futuro monopolizzato dalla “mela” e dalle sue regole nel mondo mobile.
L’idea migliore per combattere Apple fu quella di creare partnership con i produttori hardware dando vita ad un progetto Open Source da utilizzare come cavallo di troia per diffondere i propri servizi (ricordiamo tuttavia che inizialmente i servizi Google erano perfettamente integrati negli iPhone).
Questa idea di apertura piacque immediatamente a tutti: i produttori di device che la videro come un’imperdibile occasione di guadagnare quote di un mercato ancora inesplorato (o quasi) e la community di sviluppatori e – soprattutto – gli hacker che nella filosofia open han sempre trovato il loro habitat ideale.
Il progetto portò anche a quella che venne chiamata Open Handset Alliance (OHA), ossia un insieme di aziende (84 per la precisione) che tramite accordi commerciali possono usare e customizzare il codice sorgente di Android ed accedere ai servizi di Google ma sotto il rigido controllo di Mountain View.
Chi non fa parte dell’OHA può ovviamente usare i sorgenti del progetto AOSP e modificarli a suo piacimento (Amazon e il suo SO per il tablet Kindle Fire l’esempio più famoso) ma non può accedere ai servizi e alle applicazione proprietarie di Google.
I risultati li conosciamo tutti: oggi Android domina il mercato mobile con più dell’80% degli smartphone attivi e il trend è in continua crescita.
Ma cosa è accaduto al progetto AOSP dal 2007 ad oggi?
Nei sei anni trascorsi, che han visto Google vittoriosa nella guerra di mercato contro Apple, Android ha visto progressivamente una perdita di “apertura” soprattutto di alcuni elementi fondamentali del progetto AOSP, elementi che sono stati rimpiazzati da applicazioni proprietarie di Google. Vediamone alcune:
Search
Nel 2010 Google lancia il servizio Google Search su mobile con le azioni vocali e l’app viene messa a disposizione sul Play Store (allora Android Market). Erano i tempi di Froyo (Android 2.2). Da allora la componente AOSP della ricerca non viene più aggiornata. Guardate un po’ la differenza tra l’app open source e quella proprietaria di Google preinstallata su tutti i device:
Non c’è bisogno di fare commenti.
Musica
Anche in questo caso nel 2010, contestualmente alla pubblicazione dell’applicazione Google Music (poi Play Music), la versione AOSP viene abbandonata a se stessa ed ecco come la troviamo oggi:
Più di recente lo stesso trattamento è stato riservato alle applicazioni Calendario e Tastiera (le versioni Open sono state abbandonate dopo la pubblicazione di Google Calendar e Google Keyboard). Anche alcune funzionalità della fotocamera non sono disponibili nei codici sorgenti AOSP, una su tutte la funzionalità Photosphere.
Abbiamo dunque assistito fino ad ora ad un progressivo impoverimento della componente open source di Android a favore delle applicazioni proprietarie legate a doppio filo ai servizi di Google. Ma da oggi, con KitKat e il Nexus 5 la cosa è ancora più evidente e palese: vediamo perchè.
Pure Android vs Pure Google
Come sappiamo lo scorso 1 Novembre sono stati presentati la nuova versione di Android 4.3 e il nuovo device-vetrina per i servizi di Google: il Nexus 5.
Fino ad oggi i device Nexus sono sempre stati definiti “Pure Android Exprience” proprio perchè quelli più vicini al progetto AOSP e senza customizzazioni da parte dei produttori, ma il nuovo device di Google in qualche modo rompe questa tradizione.
Il launcher del Nexus 5 (ossia l’applicazione che gestice la schermata con i widget e le icone della applicazioni) è un’app closed source esclusiva per questo device e che non verrà messo a disposizione (almeno per il momento) nè sul play store nè per gli altri device Nexus. I vari Nexus 4 e 7 manterranno il launcher del progetto AOSP.
Altra novità di KitKat su Nexus 5 è la mancanza dell’applicazione AOSP per la messaggistica, sostituita da Google Hangouts, app(ovviamente closed, ossia proprietaria) per la gestione di ogni forma di comunicazione mobile: chat, videochiamata, chiamata voip, sms, mms e chi più ne ha più ne metta.
Tutto ciò lascia pensare che sulla versione di KitKat in arrivo su Nexus 4, invece, l’app messaggi sarà ancora presente e l’utente potrà decidere se far gestire gli SMS a quest’ultima o ad Hangouts.
Ci troviamo dunque davanti ad un cambio radicale della filosofia Nexus: da Pure Android (Nexus 4 e 7) a Pure Google Experience (Nexus 5). Sembra una sciocchezza ma non lo è.
Ma perchè Google sta facendo questo?
Innanzitutto Google sta impoverendo il progetto AOSP perchè ha raggiunto uno dei suoi obiettivi: dominare il mondo dei servizi mobile (1 milione e mezzo di attivazioni Android al giorno, vuol dire 1 milione e mezzo di indirizzi email Google che accedono tramite uno smartphone, mica male).
Legato a questo primo motivo c’è senz’altro una volontà da parte di Google di rendere la vita più difficile ai produttori che fino ad ora potevano fruire dei sorgenti AOSP per creare applicazioni customizzate per creare un proprio ecosistema software. Si pensi alle varie customizzazioni che troviamo nelle app Browser, Musica, Calendario, Telefono, Messaggi, ecc.. dei device di Samsung, LG o Asus. Tutte le app citate sono basate sul codice sorgente Open Source di Android. Fornire un codice sorgente meno aggiornato o non allo stato dell’arte in fatto di design e architettura software, significa senz’altro lavoro in più per gli sviluppatori e comporta un maggior adattamento alle linee guida fornite da Google in fatto di integrazione ai propri servizi. Insomma ulteriore controllo.
Non ci possiamo dunque stupire del fatto che un’azienda come Samsung cerchi di combattere sullo stesso terreno, creando un suo ecosistema di servizi speculare a quello di Google (ha praticamente creato un’app per ogni rispettivo servizio Google) al quale affiancherà un sistema operativo parallelo (Tizen) dove potrà poi erogare in autonomia tali servizi.
Altro capitolo del delirio closed source, lo scrive la community di modders Android più famosa, CyanogenMod, che come tutte le comunità di modder basa i propri lavori sui sorgenti del progetto AOSP. Lo scorso Settembre, infatti, i membri del team CM decidono di dare una svolta commerciale al proprio lavoro, creando una società (nulla di male in questo) e tendando di imbrigliare tramite un meccanismo non chiarissimo di doppia licenza (una open per la comunità l’altra closed per i progetti commerciali) le applicazioni create da alcuni membri della community.
A tal riguardo è oramai celebre, per chi segue le community di modders e sviluppatori indipendenti, il caso sollevato dallo sviluppatore Guillaume Lesniak (aka xplodwild) autore della app fotocamera Focal, che in seguito alla rimozione della sua app dal progetto CyanogenMod, ha spiegato con un dettagliato post su Google+ le vere ragioni della rimozione, dimostrando come la nuova politica commerciale del team CM fosse finalizzata principalmente al guadagno sfruttando il lavoro (gratuito o quasi) di molti membri della comunità. Potete leggere il suo post QUI.
Provo dunque a rispondere alla domanda che da il titolo a questo post: Ma Android è davvero Open Source?
Si, tecnicamente Android è Open Source ma Google sembra aver intrapreso una strada parallela a quella creata 6 anni fa, dove l’Open Source resta uno strumento vivo e necessario alla crescita di Android ma sacrificato e messo in secondo piano, sempre più vincolato alla componente closed source dei suoi servizi.
PS: ma non è ancora arrivato il momento di farsi imbrigliare dalle gabbie di Apple 🙂
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